THE DRINKSETTING

La nostalgia non è rétro ma passione contemporanea per i cocktail classici

Settembre 5, 2025

Nell’arte della miscelazione si fa strada la nostalgia, macchina del tempo che non solo riporta in primo piano i cocktail classici, ma stimola la creazione di twist on classic e guida la nascita di bar, ristoranti e lounge ispirati a design rétro. Il futuro è vintage? No, solo magnificamente eclettico.

Il nuovo galateo: come comportarsi con i cocktail classici

Cominciamo dalla nostalgia, che è l’intenso desiderio di tornare in un luogo che abbiamo amato ma è anche il rimpianto di ciò che non abbiamo mai visto o vissuto. Se per la filosofia tedesca era un sentimento doloroso, per il mercato di oggi è un’occasione imperdibile e gioiosa di trasformare dolcemente il presente in un passato rivisitato e rivissuto. La nostalgia è diventata un mondo meraviglioso, dove ci sentiamo accolti e dove ci sentiamo davvero noi stessi (o quello che vorremmo essere). E non si tratta solo di cocktail, ma anche di ambienti, comportamenti, atteggiamenti. Come ha detto Katie Di Mento, operations Manager di Zero Lounge, più che un locale una capsula del tempo dedicata agli anni Novanta, “in un certo senso, creare questi drink e questo spazio così nostalgico riporta le persone a una mentalità del tipo: ‘Chi se ne frega di dove sia il mio telefono? Mi sto divertendo un mondo‘”. Gli anni ’70/’80/’90 sono filtrati da una memoria benevola che li ha liberati di ogni difetto. Millennials e Gen X trovano nel Vintage Revival e nel Retro Revival la loro età classica.

E i cocktail? Se la cornice bar, ristoranti, lounge ecc. si adatta all’aria dei tempi mescolando neon e ruggine, coloniale e contemporaneo, plastica e brutalismo, art déco e bric-a-brac, dietro il bancone il culto del perfect mix s’impone con devozione e vigore, rimettendo però in lista accanto a venerabili icone anche hit più recenti che sembravano dimenticate.

Dunque non solo Negroni, oggi il più venduto al mondo, ma anche Tequila Sunrise (vi ricordate la canzone degli Eagles, 1973?) e White Russian (creato nel 1949 ma diventato pop nel 1988 con The Big Lebowski), il Negroni Sbagliato nato alla fine degli Sessanta dall’errore magico di un bartender milanese e diventato obbligatorio negli anni Novanta, l’Espresso Martini creato a Londra (negli anni Ottanta) per una modella che voleva restare sveglia ma non a lungo, assurto a sofisticata concessione dei nottambuli al proprio amore per l’alba, il Sex On The Beach che nel 1987 cambiò nome e mood (in origine era un innocente Peach On The Beach) durante le scatenate vacanze di primavera degli studenti americani in Florida e infine, ma solo per questioni di spazio, il Cosmopolitan consacrato dai pomeriggi frenetici e vacui della serie televisiva Sex and The City. Tutto molto eccitante, divertente e incurante così come appaiono oggi quegli anni di edonismo reaganiano guardati attraverso le lenti colorate di una autoindulgente nostalgia.

Ma dunque, come comportarsi con i classici? Massimo rispetto, esecuzioni talentuose, ingredienti impeccabili. I classici sono difficili da maneggiare, le ricette hanno il valore di incunaboli, non sono ammesse incertezze o interpretazioni anarchiche. In un cocktail classico cerchiamo rassicurazione, identità ma anche l’emozione della prima volta. Un classico è il passato che non diventa mai vintage, perché è sempre contemporaneo.

Sul twist e l’arte della variazione (e sul fascino di certe tecniche)

Un twist on classic è un cocktail ispirato a una ricetta tradizionale cui vengono apportate delle variazioni: si può trattare dell’introduzione di un nuovo ingrediente e dell’impiego di una diversa tecnica di preparazione, della scelta di un particolare profilo aromatico o della riduzione del grado alcolico. Non ci sono regole e limiti alla creatività, l’unico obbligo è che il twist ricordi chiaramente il drink originale. Si potrebbe dire che il twist è anch’esso una forma di nostalgia, un omaggio devoto fatto a dei classici intramontabili mixato con l’ambizione di entrare a far parte della loro storia, con la propria firma. D’altra parte l’interpretazione che un bartender da di ogni cocktail è già di fatto un twist.

La tendenza è più generalmente quella di avvicinare le ricette all’evoluzione del gusto, ai cambiamenti del costume e dei consumi. Un esempio è la nuova sensibilità all’uso di ingredienti del territorio (meglio se organic) che possano non solo caratterizzare in modo distintivo i valori organolettici dei cocktail ma anche dar loro una decisa impronta geografica. La rivista online «Thirst» dopo aver descritto il twisting come la celebrazione, allo stesso tempo, della tradizione e dell’innovazione elenca alcuni degli strumenti (ingredienti e tecniche) attraverso i quali vengono esplorati, saggiati, i confini della mixology: ad esempio l’uso di distillati, erbe e botaniche infuse o l’affumicatura, che intensifica le sensazioni, senza dimenticare l’arte della guarnizione e della presentazione. Ma non è tutto twist quello che cambia. Cambiano anche le tecniche di preparazione e i magazine specializzati in questo 2025 hanno dedicato all’argomento minuziosi repertori: sulla chiarificazione, il procedimento che permette di rendere i cocktail più limpidi e trasparenti eliminando impurità e particelle solide, la fermentazione, un processo biochimico innescato da lieviti e batteri, i cui prodotti (yogurt, kombucha, kefir, fermentati lattici di frutta e verdura ecc) ampliano le possibilità di creare nuove dimensioni aromatiche nella miscelazione, il fat washing altra via per raggiungere traguardi aromatici insospettabili. Ultima citazione, ma avrebbe potuto essere la prima per la sua rilevanza, il sempre più diffuso consumo dei bitter come cocktail finisher, un tocco finale prezioso e insolito, grazie anche a linee di prodotto, come quella di Ms. Better’s Bitters, che offre una scelta di referenze notevole e suggestiva: Banana e Bergamotto, Pepe nero e Cardamomo, Café Maderas, Kola, Green Strawberry Mah Kwan, Sommacco e Kiwi, Mt. Fuji, Smoke & Oak e Pineapple Star Anise.

A questo punto è evidente che la nostalgia non è solo questione di stile, ma di gusto, anzi di gusti che si muovono nella storia con sorprendente disinvoltura. Non c’è tradizione senza cambiamento. E viceversa.

 

Negroni, Old Fashioned, & Friends: the things change

Il miglior modo di celebrare un maestro è cercare di superarlo. Il miglior modo di celebrare un cocktail è creare un twist. Ed è quello che abbiamo fatto, mettendo a punto delle variazioni di Negroni, Old Fashioned, Espresso Martini, Tom Collins e Whisky Sour. E abbiamo scelto con cura gli strumenti per ottenere il miglior risultato possibile. Cioè abbiamo sfogliato il catalogo di Anthology!

Negroni Tattico

Negroni con Amaro Tattico
Photo credit: Amaro Tattico.

30 ml Amaro Tattico
30 ml vermouth
30 ml gin Mayfair Flagship

Il bitter, uno degli ingredienti del Negroni, viene sostituito da un amaro italiano molto versatile: Amaro Tattico. Il procedimento: mescolare tutti gli ingredienti in un mixing glass e versare in un tumbler basso colmo di ghiaccio. Decorare con uno spicchio di lime.

 

A New Fashioned

Old Fashioned con Rum Autentico Nativo
Photo credit: Auténtico Nativo.

60 ml Auténtico Nativo Rum Overproof 
5 gocce di Ms. Better’s Bitters Kola 
10 ml Bacanha Sciroppo di Zucchero di Canna

La ricetta dell’Old Fashioned vede qui la sostituzione del whisky ad un rum overproof panamense. Aggiungi in un bicchiere tumbler basso una zolletta di zucchero con 5 gocce di Ms. Better’s Bitters Kola e un po’ d’acqua, sciogli e aggiungi ghiaccio e rum Auténtico Nativo Overproof. Mescola delicatamente e guarnisci con una scorza d’arancia.

 

Espresso Monkai

40 ml Monkai Agave Liqueur
1 caffè espresso

Rivisitazione del classico cocktail Espresso Martini. Shakera con ghiaccio Monkai Agave Liqueur e caffè espresso.
Filtra in una coppa ghiacciata e decora con chicchi di caffè. 

 

Pablo Collins


Photo credit: Amuerte Gin.

40 ml gin Amuerte Blue 
20 ml succo di limone
10 ml sciroppo Bacanha di Zucchero di Canna
colmare con Soda Le Tribute

Amuerte Blue sostituisce il classico Old Tom gin, previsto per la ricetta classica del Tom Collins. Shakera gin, succo di limone e sciroppo di zucchero con ghiaccio. Versa in un tumbler alto, aggiungi soda e guarnisci con uno spicchio di fico.

 

Maiz Sour


Photo credit: Prieto y Prieta.

45 ml whisky Prieto y Prieta
30 ml succo di lime
20 ml sciroppo Bacanha di Zucchero di Canna
8 gocce Miraculous Foamer Ms. Better’s Bitters

Shakera con ghiaccio whisky, succo di limone fresco e 8 gocce di Miraculous Foamer di Ms. Better’s Bitters.
Filtra in una coppetta e guarnisci con fave di cacao.

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Champagne

Cose che non abbiamo ancora fatto con lo champagne:

berlo in una scarpetta tacco dodici, stappare la bottiglia con una spada da ussaro, sprecarlo sul podio di una qualsiasi gara motoristica, riempirci la vasca da bagno, chiamarlo spumante, cucinarci il brasato, dimenticarlo a casa di qualcuno, dimenticarlo in taxi, dimenticarlo.

Lo champagne è un’ottima cura per la memoria, non c’è coppa che non si riempia subito di ricordi, anche di ricordi che non avete mai avuto ma vi sarebbe piaciuto avere. Napoleone e Čechov non bevevano, se non un poco di champagne. Il primo per ricordarsi delle vittorie ancora da ottenere, il secondo per ricordarsi delle parole ancora mai scritte.

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Vini e Vermouth

È il 1968 e lo scrittore Mario Soldati parte per un suo ‘viaggio in Italia’ incontro a vigneti e cantine, alla ricerca della verità del vino.

Ne uscirà un bel libro

Quel mondo è oggi cancellato ma di quel libro resta viva l’idea del vino come poesia che si gusta meglio, e si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo.

È una frase molto citata, ma a volte non serve essere originali.

Per completarla si può dire che il vino non è che il verso di un poema più ampio che comprende terre, culture, popoli e persino poeti di molte parti del mondo.

Cercare la verità del vino – che abbia la dolcezza seduttiva di quelli liquorosi o la fresca giovinezza dei bianchi marini, il saldo carattere dei rossi pensosi o l’aromatica complessità dei vermouth – per offrirne la bellezza (con moderazione) ci sembra un compito meraviglioso.

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Mixology

Philip Marlowe è un investigatore tutt’altro che sentimentale, e quando sorride sembra un lupo. Almeno quando a interpretarlo è Humphrey Bogart. Le sue sono storie nere. Ma beve volentieri il ‘succhiello’ (Gimlet, per chi detesta i gialli), un cocktail fortificato dal gin e benedetto dalle note solari di cedro e lime. Questa è la nostra idea di mixability. Uno sciroppo non è uno sciroppo, ma è parte del tutto come avrebbe detto un maestro zen e il Paese delle Meraviglie

— quello dove la verbena, il bergamotto o il gelsomino, il lampone o la menta sono sapori liquidi —

per essere apprezzato dev’essere mescolato, inventato, dimenticato e inventato di nuovo. Questa era anche l’idea di Alice, una bar tender coi fiocchi.

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Amari e Liquori

Abbinare colori, abbinare amori, abbinare aromi, abbinare profumi, abbinare emozioni, abbinare eccezioni, abbinare temperature, abbinare temperamenti, abbinare impressioni, abbinare memorie, abbinare convenzioni, abbinare trasgressioni.

Sublimare e mescolare.

Certi liquori sono come il diario di un naturalista che si aggira la mattina nel suo orto botanico e spia la maturazione delle essenze, l’intensità delle fragranze, l’empatia degli effluvi. Sa che niente di quello che vede e apprezza domani sarà uguale e si sforza di fissare sul foglio il momento perfetto in cui un fiore e un arbusto sembrano fondersi in una sintesi toccante e per sempre nuova.

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Rum

Rum rhum ron ron!

Sono le fusa di un gatto disteso sul cassero di teak del San Antonio, l’ultimo galeone di Capitan Kidd in rotta per Barbados. Se ne sta ben attento che l’ombra delle colubrine non gli tolgano il sole, ma provateci voi a dormire tranquilli mentre fioccano i proiettili, il mare si gonfia come un’acciuga che fa il pallone e i pirati urlano come diavoli.

Ci vorrebbe un buon sorso di rum che sappia di vaniglia e caramello o di biscotti al burro e frutta tropicale o spezie e legno dolce.

Basta aprire gli occhi e seguirci nelle nostre esplorazioni tra le isole e i secoli, a bordo di un’amaca.

Su, non fate i gatti.

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Agave

Come in ogni mitologia la storia di tequila e mezcal inizia da una dea, Mayahuel, generosa e materna.

È lei a manifestarsi nelle forme dell’agave dalla polpa ricca d’acqua, che nel deserto diventa una manna biblica per gli assetati. I sacerdoti la facevano fermentare e la bevevano per parlare con gli dei più loquaci. Quando Hernán Cortés entrò in Messico nel 1519 e si accorse che il brandy portato dalla Spagna era finito, grazie ai suoi alambicchi trovò nell’agave una fonte abbondante per ritrovare il suo spirito.

Quattro secoli dopo e dopo anni di scorribande rivoluzionarie, nel 1914 a Città del Messico s’incontrarono Emiliano Zapata e Pancho Villa. Zapata veniva da sud, terra di mezcal, e Villa da nord, terra di tequila. Ma neppure Mayahuel riuscì a metterli d’accordo.

A noi restano una storia, la nostalgia della revolución e i magnifici doni dell’agave.

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Gin

Il gin ha nel nome l’anima balsamica di una pianta officinale, il ginepro, e l’ombra alchemica di un jinn della tribù persiana dei folletti, naturali amici dell’uomo.

Per questo in ogni bottiglia sta al sicuro un vero ‘genio’, impaziente di tornare libero. Bevanda terapeutica nelle mani di Dioscoride, medico di Nerone, o dei dottori della Scuola salernitana, conforto di monaci ortolani e distillatori, lenimento alle epidemie medievali, coraggio dei cavalieri olandesi nella guerra dei trent’anni, il gin si è avventurato presto nel mondo, e noi nel mondo abbiamo inseguito le sue interpretazioni più segrete e meraviglianti.

Consolazione per lo ‘spirito’ dei marinai è la risorsa elettiva per i cocktail, tra tutti l’Hemingway Martini che del vermouth vuole solo uno sguardo. La proporzione di 15 parti (di gin) a 1 fu ispirata dal generale Montgomery cui piaceva bere bene e vincere facile (era quello per lui il giusto rapporto tra amici e nemici in battaglia).

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Spirits

Gli spiriti eletti non è detto che stiano sempre seduti su una nuvola. Qualche volta è più ragionevole cercarli in certe preziose bottiglie dalle forme seducenti, a volte austere a volte esotiche.
Essere attenti investigatori dell’arte
distillatoria piuttosto che di quella oratoria,

non significa solo conoscere meglio Zosimo di Panopoli (leggendario inventore del primo alambicco) che Cicerone (sicuro autore di 58 orazioni), ma imparare un paesaggio dal colore del saké, riconoscere una musica nell’intensità della vodka o vedere i profumi di un secolo nelle sfumature dell’armagnac

Il silenzio favorisce la degustazione,

questa favorisce la parola, che favorisce la comprensione.

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Whisky

Non tutti gli ‘spiriti’, anche quelli che si comportano meglio, hanno un santo in paradiso, ma il whisky ce l’ha ed è San Patrizio, irlandese con origini scozzesi.

 A distillare avrebbe imparato dagli arabi che però si erano fatti una cultura con gli alchimisti egizi e dunque a poco serve sventolar bandiere e primogeniture. Così, facendo rotta a oriente si possono scoprire ‘acque di vita’ sensazionali in Giappone dove fantastichiamo che la fioritura dei ciliegi in aprile sia un omaggio annuale a Torii Shingiro che proprio nell’aprile del 1929 commercializzò la prima bottiglia di whisky da lui prodotta.

E poi seguendo la ghirlanda brillante dei tesori liquidi si può fare tappa in Messico, in Tennessee o in Sudafrica e Argentina.

Con buona pace di San Patrizio.

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