O sui siti specializzati, dove si fanno le carte al futuro della mixology. Il tratto comune di queste analisi predittive che sondano l’evoluzione del gusto e allo stesso tempo lo creano è riconoscere che la nuova normalità è la sperimentazione. Senza pregiudizi. Da una parte si amplia l’abitudine a impiegare distillati meno consueti, pisco, mezcal, cachaca, dall’altra si ricercano distillati classici come il gin ma resi ‘speciali’ da botaniche rare. E anche nell’invenzione di nuovi cocktail erbe introvabili, frutti esotici e persino radici diventano occasione per l’esperienza di nuove sensazioni, viaggi eccentrici in un universo inesplorato ma lussureggiante di gusti seduttivi. L’ispirazione viene da tutto il mondo, la parola d’ordine è intensità.
L’esotismo è uno stile ma anche una lista di ingredienti francamente sorprendenti, yuzu, lime kaffir, citronella, grani del paradiso ma anche menta, cocomero, pepe o carciofo di Gerusalemme. E i consumatori sembrano condividere questa audacia di abbinamenti facendo crescere numericamente la loro soddisfazione.
Ma il cocktail, se ne riconosciamo il valore creativo è un’opera aperta in cui la vista merita una particolare gratificazione: l’esotismo si rivela allo sguardo attraverso la vividezza dei colori, le sfumature bizzarre, le guarnizioni accurate e impensate nella loro sapienza decorativa. Se l’occhio vuole la sua parte, ancor di più pretendono i social networks e la condivisione online dell’esperienza è parte del piacere. Così questo nuovo trend pretende che i cocktail siano “instagrammabili” (drinkstagram), che abbiano talento visuale e immediato potere di attrazione.
Tornando per un momento ai siti specializzati da cui siamo partiti, l’autorevole The Spirits Business cui non manca la concretezza dei fatti, conferma quanto sin qui scritto segnalando che il trend sull’uso di spezie esotiche e botaniche rare, spesso difficili da reperire o da coltivare su larga scala, è testimoniato da una crescita della richiesta delle stesse loro richieste di botaniche esotiche, rare o locali, spesso difficili da reperire o coltivare in grande scala.
Come abbiamo ricordato i gin sono tra i prodotti legati a queste nuove tendenze che meglio esprimono i cambiamenti in corso e il costante incremento del suo consumo (come annotato da Ansa riprendendo uno studio di Assodistil) è un segnale di sicura conferma. I motivi del successo come scrive London Spirits Competition sono rintracciabili nella versatilità del gin e nella complessità aromatica frutto di nuove e rare botaniche che con la loro varietà stimolano la curiosità e l’attenzione dei clienti.
Nel catalogo Anthology, non mancano i gin che rispecchiano queste caratteristiche e questi atout qualitativi:
Magistrali infusioni e macerazioni di botaniche rare e spezie esotiche sono all’origine di un rinascente successo di amari e i liquori, ritornati con prepotenza nel favore dei consumatori. Eccone alcuni tratti dal catalogo Anthology:
Anche tra i rum il catalogo Anthology offre una scelta varia e invitante, lontana dall’ovvio: tra tutti spicca Chalong Bay, la cui eccezionalità è frutto della maestria nell’infusione a vapore di botaniche thai ed esotiche, partendo da un distillato ottenuto al 100% da succo fresco di canna da zucchero. Piacevoli incontri sono quelli con Chalong Bay Tropical Notes Cinnamon e Chalong Bay Tropical Notes Lemongrass, rum botanici arricchiti durante la distillazione mediante infusione di cannella e citronella. Il processo avviene attraverso una corrente di vapore, che consente di preservare la freschezza e le proprietà organolettiche degli ingredienti naturali.
Last but not least (ovvero, non ha nulla da invidiare ai precedenti) Chalong Bay White Spiced, un rum che viene prodotto tramite lo stesso metodo della linea Tropical Notes ma con 9 botaniche esotiche provenienti dal territorio thailandese e dal Sud-Est asiatico tra cui basilico dolce tailandese, peperoncino, caffè, vaniglia, cannella e pandan.
Per concludere in dolcezza va ricordato che la passione per i gusti più ricercati coinvolge anche gli sciroppi Bacanha, tra i quali si posso scegliere quelli allo Yuzu, Litchi e Falernum. Ma una segnalazione meritano anche i cocktail finishers di Ms. Better’s Bitters dove la curiosità e il palato saranno senz’altro appagati da Green Strawberry e Mah Kwan, prodotto da fragole raccolte ancora verdi e pepe selvatico thailandese, Somacco e Kiwi, con note molto agrumate, Kola da noci di cola e dal gusto di limone bilanciato con una gradevole nota amarognola ed erbacea.
Alla prova del gusto la teoria si fa liquida e invitante: ecco dunque la nostra interpretazione di cocktail estivi, ma non solo, accomunati da una inclinazione alla dolcezza e alla freschezza, e anche
cocktail famosi, ma ostinatamente rivisitati.
45 ml Saneha Luminous
60 ml succo d’ananas
Colmare con soda al pompelmo Le Tribute
Aggiungere tutti gli ingredienti in un tumbler alto colmo di ghiaccio e mescolare delicatamente. Decorare con uno zest di pompelmo e due ciuffi d’ananas.
30 ml Gin Hakuto Premium
30 ml bitter
30 ml vermuth
Una versione rivisitata del cocktail Negroni. Mescolare tutti gli ingredienti in un mixing glass e versare in un tumbler basso colmo di ghiaccio. Decorare con uno spicchio di lime.
50 ml gin Levantine Gin
20 ml di succo di limone
100 ml succo pomodoro
4 gocce di tabasco
5 gocce di salsa Worchesterchire
Una spolverata di pepe
Sale a discrezione
Rivisitazione del classico cocktail Bloody Mary. Shakerare tutti gli ingredienti e versare in un tumbler alto colmo di ghiaccio.
Decorare con un rim di sale e pepe Mah Kwan sul bordo del bicchiere.
45 ml Eden Mill Neptune Gin
15 ml vermuth dry
3 olive verdi
Spremere le olive con un lime squeezer e mescolare il succo con gli altri ingredienti all’interno di un mixing glass. Filtrare in coppa martini precedentemente raffreddata. Guarnire con tre olive dalle dimensioni generose infilate in un bar stick.
50 ml Chalong Bay White Spiced Rum
30 ml succo di lime
15 ml Bacanha sciroppo Yuzu
Un cocktail Daiquiri rivisitato. Shakerare tutti gli ingredienti e filtrare in una coppa da cocktail precedentemente raffreddata.
45 ml Amuerte Yellow
20 ml fake lime
20 ml Bacanha sciroppo Zucchero di Canna
4 drops Ms. Better’s Bitters Kola
4 drops Ms. Better’s Bitters Somacco e Kiwi
5 drops Ms. Better’s Bitters Foamer
Colmare con Le Tribute Pink Grapefruit
Shakerare energicamente tutti gli ingredienti tranne la soda e filtrare in un bicchier collins senza ghiaccio. Aggiungere delicatamente la soda creando un cappello di schiuma compatta sopra il
bicchiere.
10 ml di succo di lime
40 ml Damoiseau Arrangè Guava
Colmare con Champagne Jeeper Grand Assemblage
Shakerare il rum e il succo di lime e filtrare in una flute. Colmare con Champagne e mescolare delicatamente per amalgamare gli ingredienti. Guarnire con un’amarena nel fondo della flute.
Cose che non abbiamo ancora fatto con lo champagne:
berlo in una scarpetta tacco dodici, stappare la bottiglia con una spada da ussaro, sprecarlo sul podio di una qualsiasi gara motoristica, riempirci la vasca da bagno, chiamarlo spumante, cucinarci il brasato, dimenticarlo a casa di qualcuno, dimenticarlo in taxi, dimenticarlo.
Lo champagne è un’ottima cura per la memoria, non c’è coppa che non si riempia subito di ricordi, anche di ricordi che non avete mai avuto ma vi sarebbe piaciuto avere. Napoleone e Čechov non bevevano, se non un poco di champagne. Il primo per ricordarsi delle vittorie ancora da ottenere, il secondo per ricordarsi delle parole ancora mai scritte.
È il 1968 e lo scrittore Mario Soldati parte per un suo ‘viaggio in Italia’ incontro a vigneti e cantine, alla ricerca della verità del vino.
Ne uscirà un bel libro
Quel mondo è oggi cancellato ma di quel libro resta viva l’idea del vino come poesia che si gusta meglio, e si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo.
È una frase molto citata, ma a volte non serve essere originali.
Per completarla si può dire che il vino non è che il verso di un poema più ampio che comprende terre, culture, popoli e persino poeti di molte parti del mondo.
Cercare la verità del vino – che abbia la dolcezza seduttiva di quelli liquorosi o la fresca giovinezza dei bianchi marini, il saldo carattere dei rossi pensosi o l’aromatica complessità dei vermouth – per offrirne la bellezza (con moderazione) ci sembra un compito meraviglioso.
Philip Marlowe è un investigatore tutt’altro che sentimentale, e quando sorride sembra un lupo. Almeno quando a interpretarlo è Humphrey Bogart. Le sue sono storie nere. Ma beve volentieri il ‘succhiello’ (Gimlet, per chi detesta i gialli), un cocktail fortificato dal gin e benedetto dalle note solari di cedro e lime. Questa è la nostra idea di mixability. Uno sciroppo non è uno sciroppo, ma è parte del tutto come avrebbe detto un maestro zen e il Paese delle Meraviglie
— quello dove la verbena, il bergamotto o il gelsomino, il lampone o la menta sono sapori liquidi —
per essere apprezzato dev’essere mescolato, inventato, dimenticato e inventato di nuovo. Questa era anche l’idea di Alice, una bar tender coi fiocchi.
Abbinare colori, abbinare amori, abbinare aromi, abbinare profumi, abbinare emozioni, abbinare eccezioni, abbinare temperature, abbinare temperamenti, abbinare impressioni, abbinare memorie, abbinare convenzioni, abbinare trasgressioni.
Sublimare e mescolare.
Certi liquori sono come il diario di un naturalista che si aggira la mattina nel suo orto botanico e spia la maturazione delle essenze, l’intensità delle fragranze, l’empatia degli effluvi. Sa che niente di quello che vede e apprezza domani sarà uguale e si sforza di fissare sul foglio il momento perfetto in cui un fiore e un arbusto sembrano fondersi in una sintesi toccante e per sempre nuova.
Rum rhum ron ron!
Sono le fusa di un gatto disteso sul cassero di teak del San Antonio, l’ultimo galeone di Capitan Kidd in rotta per Barbados. Se ne sta ben attento che l’ombra delle colubrine non gli tolgano il sole, ma provateci voi a dormire tranquilli mentre fioccano i proiettili, il mare si gonfia come un’acciuga che fa il pallone e i pirati urlano come diavoli.
Ci vorrebbe un buon sorso di rum che sappia di vaniglia e caramello o di biscotti al burro e frutta tropicale o spezie e legno dolce.
Basta aprire gli occhi e seguirci nelle nostre esplorazioni tra le isole e i secoli, a bordo di un’amaca.
Su, non fate i gatti.
Come in ogni mitologia la storia di tequila e mezcal inizia da una dea, Mayahuel, generosa e materna.
È lei a manifestarsi nelle forme dell’agave dalla polpa ricca d’acqua, che nel deserto diventa una manna biblica per gli assetati. I sacerdoti la facevano fermentare e la bevevano per parlare con gli dei più loquaci. Quando Hernán Cortés entrò in Messico nel 1519 e si accorse che il brandy portato dalla Spagna era finito, grazie ai suoi alambicchi trovò nell’agave una fonte abbondante per ritrovare il suo spirito.
Quattro secoli dopo e dopo anni di scorribande rivoluzionarie, nel 1914 a Città del Messico s’incontrarono Emiliano Zapata e Pancho Villa. Zapata veniva da sud, terra di mezcal, e Villa da nord, terra di tequila. Ma neppure Mayahuel riuscì a metterli d’accordo.
A noi restano una storia, la nostalgia della revolución e i magnifici doni dell’agave.
Il gin ha nel nome l’anima balsamica di una pianta officinale, il ginepro, e l’ombra alchemica di un jinn della tribù persiana dei folletti, naturali amici dell’uomo.
Per questo in ogni bottiglia sta al sicuro un vero ‘genio’, impaziente di tornare libero. Bevanda terapeutica nelle mani di Dioscoride, medico di Nerone, o dei dottori della Scuola salernitana, conforto di monaci ortolani e distillatori, lenimento alle epidemie medievali, coraggio dei cavalieri olandesi nella guerra dei trent’anni, il gin si è avventurato presto nel mondo, e noi nel mondo abbiamo inseguito le sue interpretazioni più segrete e meraviglianti.
Consolazione per lo ‘spirito’ dei marinai è la risorsa elettiva per i cocktail, tra tutti l’Hemingway Martini che del vermouth vuole solo uno sguardo. La proporzione di 15 parti (di gin) a 1 fu ispirata dal generale Montgomery cui piaceva bere bene e vincere facile (era quello per lui il giusto rapporto tra amici e nemici in battaglia).
non significa solo conoscere meglio Zosimo di Panopoli (leggendario inventore del primo alambicco) che Cicerone (sicuro autore di 58 orazioni), ma imparare un paesaggio dal colore del saké, riconoscere una musica nell’intensità della vodka o vedere i profumi di un secolo nelle sfumature dell’armagnac
Il silenzio favorisce la degustazione,
questa favorisce la parola, che favorisce la comprensione.
Non tutti gli ‘spiriti’, anche quelli che si comportano meglio, hanno un santo in paradiso, ma il whisky ce l’ha ed è San Patrizio, irlandese con origini scozzesi.
A distillare avrebbe imparato dagli arabi che però si erano fatti una cultura con gli alchimisti egizi e dunque a poco serve sventolar bandiere e primogeniture. Così, facendo rotta a oriente si possono scoprire ‘acque di vita’ sensazionali in Giappone dove fantastichiamo che la fioritura dei ciliegi in aprile sia un omaggio annuale a Torii Shingiro che proprio nell’aprile del 1929 commercializzò la prima bottiglia di whisky da lui prodotta.
E poi seguendo la ghirlanda brillante dei tesori liquidi si può fare tappa in Messico, in Tennessee o in Sudafrica e Argentina.