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Amaro italiano: la nuova giovinezza della tradizione è questione di territorio

Settembre 24, 2025

È già un fenomeno: più ricerche, più interesse, più consumi

Il “rinascimento” dell’amaro italiano, con il suo radicamento nelle tradizioni di territorio, si legge nei numeri. Le ricerche online che gli sono dedicate crescono in fretta, + 143% negli ultimi cinque anni. Ma si legge pure nel suo nuovo ruolo da protagonista della mixology internazionale e nel favore presso le nuove generazioni.

Amare gli amari: il millennial trend

L’incremento deciso negli ultimi dieci anni dei consumatori di amaro tra i millennial (passati dal 10% al 16%: fonte Osservatorio Federvini/Niq) è il segnale più vitale della riscoperta di questo prodotto. In parallelo a questo rinnovato interesse c’è un incremento quantitativo e qualitativo dell’offerta: sugli scaffali della GDO si contano in media 14 referenze di amaro, più che in qualsiasi altra categoria. L’insieme di questi fattori conduce a scelte più consapevoli, più mirate e più esigenti. Soprattutto per ciò che concerne l’autenticità del prodotto. Il successo che si va consolidando dell’amaro premium, ne è la controprova.

Chi sceglie oggi l’amaro?

A tracciare il più recente profilo del consumatore di amaro è un’indagine Beverfood, che ne fa un ritratto chiaro ed eloquente:

  • 61% si descrive come moderato nel consumo;
  • 60% dichiara di avere gusti ‘classici’;
  • 45% apprezza la ritualità nella degustazione dell’amaro;
  • 48% è disposto a spendere di più per prodotti premium;
  • 42% considera il sapore l’attrattiva principale, ma cresce il peso; dello storytelling e della territorialità.

 

La sintesi di questo quadro espresso in percentuali matematiche è il ritratto vivo di un consumatore maturo, equilibrato, sedotto non solo dalla qualità dell’esperienza sensoriale ma anche dall’identità culturale implicita nella storia dell’amaro. In un amaro di qualità c’è il sapore, il racconto, la tradizione e oggi, una stimolante modernità.

 

 

Amaro contemporaneo: heritage + innovazione

La vera tradizione è un patrimonio che dà i suoi frutti nella modernità. L’amaro italiano grazie alla sua ricchezza aromatica e alla sua caratterizzazione nata dal territorio, è uscito dall’ombra per conquistare il talento dei bartender di tutto il mondo. L’amaro mixology è oggi un trend globale. Non solo per creare nuovi cocktail ma anche per reinventare i grandi classici, il Negroni, giusto o sbagliato, lo Spritz, che ha ormai il dono dell’ubiquità, e l’Americano, riportato al suo primitivo fascino. L’amaro s’impone così per la sua versatilità e come elemento decisivo in twist innovativi. Drinks International fa un resoconto promettente della sua diffusione: “Gli amari si sono ritagliati un posto nei moderni cocktail bar, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e ora stanno rapidamente guadagnando popolarità anche in Francia e Spagna,” mentre Fancy Magazine lo definisce il “nuovo trend della mixology”.

Amaro e territorio: l’Italia in un bicchiere

Nell’enogastronomia italiana l’amaro ha un posto di sicuro rilievo. La geografia degli amari nel nostro paese è un viaggio nelle botaniche locali e nella tradizione del loro impiego. Genziana, china, scorze di agrumi, rabarbaro: ogni regione custodisce una ricetta unica, unica come le ricchezze naturali del suo territorio. Come sottolinea Falstaff, il gusto amaro è radicato nella nostra identità gastronomica e c’è un legame quasi sentimentale tra esso e gli italiani. Un legame fatto di memoria, appartenenza e sapienza erboristica.

 

Come nasce un amaro: le regole della produzione

Per ottenere il meglio dalla creatività bisogna inscriverla in regole precise. Legge che vale anche per la produzione dell’amaro. C’è a questo proposito un disciplinare europeo che fa da guida e indicazione:

  • Le tecniche impiegate sono macerazione, infusione, decozione, percolazione;
  • Gli zuccheri devono essere presenti al massimo nella misura di 100 g/l;
  • Quando si tratti di amari con una forte identità territoriale, questa percentuale scende sotto i 70 g/l;
  • Le botaniche in un amaro: rabarbaro, carciofo, genziana, spezie locali.

 

Scopriamo la differenza tra amari e liquori. Scoprite Black Sinner.

La differenza è sempre una ricchezza. La differenza tra amari e liquori è un invito alla scoperta. Gli amari fanno parte della grande famiglia dei liquori, ma se ne distinguono per alcune caratteristiche precise. La più importante delle quali riguarda il contenuto di zucchero: negli amari non deve superare i 100 g per litro, mentre nei liquori può arrivare fino a 200 g per litro; oltre questa soglia si parla invece di creme alcoliche (tra i 200 e 500 g/l). Oltre a ciò amari e liquori sono prodotti con ingredienti differenti: i primi sono realizzati prevalentemente con erbe, radici e spezie, mentre nei liquori, oltre a queste botaniche, trova spesso spazio anche la frutta. Dunque celebriamo la differenza, magari con Black Sinner, il liquore creato dal talento di Bruno Vanzan, che nasce da una pregiatissima miscela di caffè 100% arabica.

 

Tesori del territorio. La tradizione del nuovo.

Mentre resistono e ritornano in prima fila i grandi classici, non mancano le realtà emergenti che si vanno imponendo per la loro capacità di rileggere la tradizione in ricette fortemente innovative. L’amaro artigianale italiano interpreta il ritorno all’autenticità con una sensibilità e conoscenze del tutto inedite. Tanti sono gli esempi e tra i più convincenti Zerotrenta, con le note balsamiche regalate da anice stellata, liquirizia e rosmarino o San Simone, da sempre un vero culto in Piemonte, e fresco vincitore della Grande Medaglia d’Oro e Rivelazione della categoria amaro alla Spirits Selection 2025. Tutti raccontano il legame con i territori attraverso botaniche distintive, in un catalogo di sensazioni avvincenti.

Scopri la selezione di amari e liquori territoriali su Anthology.

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Champagne

Cose che non abbiamo ancora fatto con lo champagne:

berlo in una scarpetta tacco dodici, stappare la bottiglia con una spada da ussaro, sprecarlo sul podio di una qualsiasi gara motoristica, riempirci la vasca da bagno, chiamarlo spumante, cucinarci il brasato, dimenticarlo a casa di qualcuno, dimenticarlo in taxi, dimenticarlo.

Lo champagne è un’ottima cura per la memoria, non c’è coppa che non si riempia subito di ricordi, anche di ricordi che non avete mai avuto ma vi sarebbe piaciuto avere. Napoleone e Čechov non bevevano, se non un poco di champagne. Il primo per ricordarsi delle vittorie ancora da ottenere, il secondo per ricordarsi delle parole ancora mai scritte.

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Vini e Vermouth

È il 1968 e lo scrittore Mario Soldati parte per un suo ‘viaggio in Italia’ incontro a vigneti e cantine, alla ricerca della verità del vino.

Ne uscirà un bel libro

Quel mondo è oggi cancellato ma di quel libro resta viva l’idea del vino come poesia che si gusta meglio, e si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo.

È una frase molto citata, ma a volte non serve essere originali.

Per completarla si può dire che il vino non è che il verso di un poema più ampio che comprende terre, culture, popoli e persino poeti di molte parti del mondo.

Cercare la verità del vino – che abbia la dolcezza seduttiva di quelli liquorosi o la fresca giovinezza dei bianchi marini, il saldo carattere dei rossi pensosi o l’aromatica complessità dei vermouth – per offrirne la bellezza (con moderazione) ci sembra un compito meraviglioso.

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Mixology

Philip Marlowe è un investigatore tutt’altro che sentimentale, e quando sorride sembra un lupo. Almeno quando a interpretarlo è Humphrey Bogart. Le sue sono storie nere. Ma beve volentieri il ‘succhiello’ (Gimlet, per chi detesta i gialli), un cocktail fortificato dal gin e benedetto dalle note solari di cedro e lime. Questa è la nostra idea di mixability. Uno sciroppo non è uno sciroppo, ma è parte del tutto come avrebbe detto un maestro zen e il Paese delle Meraviglie

— quello dove la verbena, il bergamotto o il gelsomino, il lampone o la menta sono sapori liquidi —

per essere apprezzato dev’essere mescolato, inventato, dimenticato e inventato di nuovo. Questa era anche l’idea di Alice, una bar tender coi fiocchi.

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Amari e Liquori

Abbinare colori, abbinare amori, abbinare aromi, abbinare profumi, abbinare emozioni, abbinare eccezioni, abbinare temperature, abbinare temperamenti, abbinare impressioni, abbinare memorie, abbinare convenzioni, abbinare trasgressioni.

Sublimare e mescolare.

Certi liquori sono come il diario di un naturalista che si aggira la mattina nel suo orto botanico e spia la maturazione delle essenze, l’intensità delle fragranze, l’empatia degli effluvi. Sa che niente di quello che vede e apprezza domani sarà uguale e si sforza di fissare sul foglio il momento perfetto in cui un fiore e un arbusto sembrano fondersi in una sintesi toccante e per sempre nuova.

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Rum

Rum rhum ron ron!

Sono le fusa di un gatto disteso sul cassero di teak del San Antonio, l’ultimo galeone di Capitan Kidd in rotta per Barbados. Se ne sta ben attento che l’ombra delle colubrine non gli tolgano il sole, ma provateci voi a dormire tranquilli mentre fioccano i proiettili, il mare si gonfia come un’acciuga che fa il pallone e i pirati urlano come diavoli.

Ci vorrebbe un buon sorso di rum che sappia di vaniglia e caramello o di biscotti al burro e frutta tropicale o spezie e legno dolce.

Basta aprire gli occhi e seguirci nelle nostre esplorazioni tra le isole e i secoli, a bordo di un’amaca.

Su, non fate i gatti.

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Agave

Come in ogni mitologia la storia di tequila e mezcal inizia da una dea, Mayahuel, generosa e materna.

È lei a manifestarsi nelle forme dell’agave dalla polpa ricca d’acqua, che nel deserto diventa una manna biblica per gli assetati. I sacerdoti la facevano fermentare e la bevevano per parlare con gli dei più loquaci. Quando Hernán Cortés entrò in Messico nel 1519 e si accorse che il brandy portato dalla Spagna era finito, grazie ai suoi alambicchi trovò nell’agave una fonte abbondante per ritrovare il suo spirito.

Quattro secoli dopo e dopo anni di scorribande rivoluzionarie, nel 1914 a Città del Messico s’incontrarono Emiliano Zapata e Pancho Villa. Zapata veniva da sud, terra di mezcal, e Villa da nord, terra di tequila. Ma neppure Mayahuel riuscì a metterli d’accordo.

A noi restano una storia, la nostalgia della revolución e i magnifici doni dell’agave.

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Gin

Il gin ha nel nome l’anima balsamica di una pianta officinale, il ginepro, e l’ombra alchemica di un jinn della tribù persiana dei folletti, naturali amici dell’uomo.

Per questo in ogni bottiglia sta al sicuro un vero ‘genio’, impaziente di tornare libero. Bevanda terapeutica nelle mani di Dioscoride, medico di Nerone, o dei dottori della Scuola salernitana, conforto di monaci ortolani e distillatori, lenimento alle epidemie medievali, coraggio dei cavalieri olandesi nella guerra dei trent’anni, il gin si è avventurato presto nel mondo, e noi nel mondo abbiamo inseguito le sue interpretazioni più segrete e meraviglianti.

Consolazione per lo ‘spirito’ dei marinai è la risorsa elettiva per i cocktail, tra tutti l’Hemingway Martini che del vermouth vuole solo uno sguardo. La proporzione di 15 parti (di gin) a 1 fu ispirata dal generale Montgomery cui piaceva bere bene e vincere facile (era quello per lui il giusto rapporto tra amici e nemici in battaglia).

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Spirits

Gli spiriti eletti non è detto che stiano sempre seduti su una nuvola. Qualche volta è più ragionevole cercarli in certe preziose bottiglie dalle forme seducenti, a volte austere a volte esotiche.
Essere attenti investigatori dell’arte
distillatoria piuttosto che di quella oratoria,

non significa solo conoscere meglio Zosimo di Panopoli (leggendario inventore del primo alambicco) che Cicerone (sicuro autore di 58 orazioni), ma imparare un paesaggio dal colore del saké, riconoscere una musica nell’intensità della vodka o vedere i profumi di un secolo nelle sfumature dell’armagnac

Il silenzio favorisce la degustazione,

questa favorisce la parola, che favorisce la comprensione.

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Whisky

Non tutti gli ‘spiriti’, anche quelli che si comportano meglio, hanno un santo in paradiso, ma il whisky ce l’ha ed è San Patrizio, irlandese con origini scozzesi.

 A distillare avrebbe imparato dagli arabi che però si erano fatti una cultura con gli alchimisti egizi e dunque a poco serve sventolar bandiere e primogeniture. Così, facendo rotta a oriente si possono scoprire ‘acque di vita’ sensazionali in Giappone dove fantastichiamo che la fioritura dei ciliegi in aprile sia un omaggio annuale a Torii Shingiro che proprio nell’aprile del 1929 commercializzò la prima bottiglia di whisky da lui prodotta.

E poi seguendo la ghirlanda brillante dei tesori liquidi si può fare tappa in Messico, in Tennessee o in Sudafrica e Argentina.

Con buona pace di San Patrizio.

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